È la conservatrice e borghese Firenze degli anni ’20 che accoglie Franco Zeffirelli, un N.N. Nescio Nomen , frutto di una relazione extraconiugale tra Alaide Garosi e Ottorino Corsi.
L’assegnazione d’ufficio del nome –Zeffirelli – sembra già anticipare il suo destino. Fu infatti la madre a suggerirlo all’anagrafe: doveva essere “Zeffiretti” – da un’aria dell’Idomeneo . L’errore del copista comunale trasformò Zeffiretti in Zeffirelli.
Franco Zeffirelli venne allevato dalla madre nella casa in Piazza della Repubblica dove lei, vedova, viveva con i figli e lavorava come sarta: “Era bella e simpatica. Le piaceva la musica e suonava benissimo il pianoforte. Il suo compositore preferito era Mozart e mi ricordo, come fosse ora, quando cantava, per svagarsi dal lavoro, dei deliziosi brani dal Don Giovanni o dalle Nozze”.
Fu un’infanzia difficile, specialmente quando i rapporti, seppur clandestini tra la madre e il padre, deteriorarono del tutto. All’età di cinque anni, assiste all’ultimo furioso scontro tra i due e a una scena che ha tutte le caratteristiche di un “dramma popolare o meglio” di un melodramma: “Chissà che non abbia in qualche modo contribuito al mio gusto per quei “colpacci” a tinte forti, quelle belle “scenone” che tanto piacevano a Mascagni e a Leoncavallo e, lo confesso, anche a me; è un’ipotesi che non mi sento di escludere.”
È la zia Lide (nella foto di testata), cugina del padre, a occuparsi del piccolo dopo la morte prematura della madre.
Subito dopo la nascita e poi nelle estati roventi fiorentine durante l’infanzia, il piccolo Zeffirelli veniva mandato in campagna dalla balia Ersilia Innocenti. A lei che lo aveva allevato i primi mesi di vita lontano dagli occhi indiscreti e dai “pettegolezzi” cittadini, fu sempre molto legato.
La balia e il mondo contadino in cui vive divengono addirittura centrali nella sua formazione.
A quelle estati infatti il regista autobiografo attribuisce la responsabilità del suo avvicinarsi al teatro.
Ogni settimana arrivavano infatti a far visita al podere i cantastorie girovaghi che intrattenevano le povere comunità di contadini mischiando fatti di cronaca con storie classiche, fantastiche e tragiche. Veri e propri attori autodidatti con un proprio bagaglio professionale: “Niente a teatro è mai riuscito a colpirmi più delle fantasie di quei poveracci. Sapevano catturare la nostra immaginazione, il cuore batteva forte e gli occhi si riempivano di lacrime, ma poi si scoppiava a ridere con le storie comiche che chiudevano regolarmente quelle serate”
Zeffirelli non dimenticherà mai quei poveri girovaghi capaci di così magiche gesta, che lo introdussero al mondo dei teatrini e dei burattini che lui stesso cominciò a costruire e immaginare, persi in storie fantastiche.
Gustavo, compagno della zia Lide, amante dell’opera e del teatro, capisce la propensione drammatica del piccolo Zeffirelli e grazie a lui, all’età di soli 8 anni, il piccolo assiste alla rappresentazione della Walchiria di Wagner al teatro Politeama. Interprete è il baritono Giacomo Rimini amico dello zio Gustavo.
Una mossa azzardata nei confronti di un bambino dell’epoca! Ma che fu una rivelazione.
Zeffirelli rimase folgorato dal mistero dello spettacolo e dalla magia che ne può scaturire, i suoni, i colori, la fantastica e selvaggia interpretazione degli attori. Il miracolo dell’opera.
“Se ripenso alla lunga strada che ho percorso in teatro, mi rendo conto che tutto è davvero cominciato quella sera.”
Per volere del padre, il giovane Zeffirelli studia la lingua e la cultura inglesi con Mary O’Neill, una delle Signore appartenenti a quella folta e stravagante comunità tanto affezionata a Firenze. L’espressione colorita di un tempo che andrà definitivamente a scomparire con gli anni del fascismo e che il regista ricorderà nel film auotobiografico “Un tè con Mussolini.”
“È come se ancora le vedessi arrivare, nelle strade del centro, sempre agli stessi orari, immancabilmente all’ora del tè, quando si riunivano da Doney’s. Sciamavano a coppie e a piccoli gruppi, lungo via Tornabuoni, sbucando dal ponte Santa Trinità, o dalle stradine medievali adiacenti!”
Negli anni della tarda infanzia e della giovinezza sempre più importante è l’amore per il teatro. Conosce i sonetti di Shakespeare che studia e mette in scena con la supervisione di Mary O’Neill, frequenta un piccolo gruppo teatrale organizzato dal circolo cattolico dei frati di San Marco.
D’altronde la Firenze della prima metà del ‘900 pullulava di piccole esperienze teatrali amatoriali che hanno prodotto un’enorme quantità di artisti di rilevanza nazionale come il Teatrino delle Cure dove muove i primi passi Albertazzi e il teatro dei GUF (Gruppi Universitari Fascisti) dove recita il giovane Arnoldo Foà.
Bellissima ed esclusiva, la testimonianza dell’amico Luciano Alberti, futuro direttore del Maggio Musicale e dell’Accademia Chigiana di Siena. In uno spettacolo alla Pergola ricorda “il giovane Franco” nei panni del Marchese di Carabas nel “Gatto con gli Stivali”. La compagnia in cui recitava Zeffirelli era quella gestita dal Teatro della Fiaba di Donna Flavia Farina Cini, una mecenate teatrale, anche lei di origine britannica.
Sempre degli anni intorno alla guerra, è la partecipazione al programma radiofonico di Radio Firenze in cui Zeffirelli, insieme all’amico Luciano Alberti, interpreta “I ragazzi della Via Pal”.
Il percorso formativo che va dagli studi al Liceo artistico e poi all’iscrizione alla facoltà di Architettura si interrompe improvvisamente a causa della scelta di Zeffirelli di unirsi ai partigiani.
“Più tardi, molto più tardi, nel mio lavoro, ho frugato spesso nei miei ricordi per cercare immagini alle quali ritornare. Quando girai la scena della crocifissione nel mio Gesù, mi ritornò nel cuore l’orrore di quella mattina: una madre prostrata al suolo che piangeva il figlio morto, appeso come un Cristo al legno di un albero, con i soldati tedeschi che marciavano implacabili come centurioni romani.”