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Amleto nostro contemporaneo

Giorgio Albertazzi, Zeffirelli e Amleto

Zeffirelli affronta per la prima volta Amleto, sollecitato da Giorgio Albertazzi, all’epoca in compagnia con Anna Proclemer.

I due erano vecchi amici: fiorentini, coetanei, si conoscevano fin da quando, ragazzi, recitavano nelle diverse compagnie amatoriali giovanili della loro città. Zeffirelli aveva inoltre procurato all’esordiente Albertazzi una piccola parte nel Troilo e Cressida di Visconti.

Un grande e solido legame che Albertazzi descrive in un’intervista del 1965 su «Sipario»: “Zeffirelli è un inventore di spettacoli, ha un’intuizione plastica dello spettacolo teatrale quasi sempre perfetta, che va al di là di ogni concezione critica. […] La sua qualità più straordinaria è il coraggio che ha di fare ciò che sente, senza frustrazioni critiche. È il regista più sano e felice di lavorare che ho incontrato: il teatro deve essere fatto con gioia, come facevamo da ragazzi, dice sempre.”

In contro-campo il ricordo che Zeffirelli tratteggia dell’attore nella sua Autobiografia: “Giorgio era nato per essere Amleto. Ne aveva la statura interiore, il mistero, la suprema intelligenza. I nostri destini si ricongiunsero in questa fortunatissima occasione. La nostra fu una lettura tutta nuova del capolavoro assoluto del teatro in poesia, suggerita anche dalle inquietudini di quegli anni.”

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Amleto e le inquietudini del tempo

Un lettera all’amico Masolino d’Amico, durante la preparazione dello spettacolo, racconta il modo tutto nuovo di concepire il testo di Amleto. La lettera è datata 15 ottobre 1963:

“Caro Masolino,

[…] Saprai che farò l’Amleto a Roma e comincio le prove il 3 novembre.

[…] Io sto impostando questo Amleto in una maniera tutta mia, un modo nuovo in cui di chiaro, ancora, non c’è che una sola cosa: “sarà una visione moderna”-

Rimpasto tutto: oggi, domani, mille anni fa – vorrei le malinconie romantiche, i furori degli Elisabettiani, l’orrore del Medioevo, ma soprattutto gli ‘umori’, la rassegnazione, la cattiveria e il chiasso di oggi. Come farò non so.

Comunque ho escogitato un dispositivo scenico che, almeno, ha il merito di potersi adattare a ogni piega che prenderà lo spettacolo. E’ un dispositivo avanzatissimo, questo si, quasi avveniristico.”

Minimalista solo in apparenza, questo “dispositivo scenico” concavo e avvolgente, assolutamente non descrittivo, è in realtà una vera e propria macchina teatrale che di volta in volta diventa gli spalti di Elsinore, la sala del trono, la stanza della regina, riproponendo in chiave contemporanea il palcoscenico neutro delle playhouses elisabettiane, in cui pochi oggetti di attrezzeria suggerivano il luogo dell’azione drammatica.

Su di esso si muoveva Amleto, “un nevrotico senz’ombra di malinconia in maglione a collo alto e chioma ossigenata”, come lo ricordò Albertazzi moltissimi anni dopo.

Il momento dell’attesissimo monologo era poi un vero coup de théatre: nel palcoscenico vuoto, a poco a poco, Amleto/Albertazzi emergeva lentamente dal sottosuolo, da “una grande buca che era una specie di ombelico” posta al centro del proscenio.

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Gli splendidi costumi dei protagonisti realizzati da Danilo Donati evitavano una precisa connotazione storica, sovrapponendo fogge antiche a fogge contemporanee, realizzate con tessuti estremamente attuali.

Dopo una trionfale tournée in Italia e all’estero, nel settembre 1964 lo spettacolo atterrò all’Old Vic di Londra, allora diretto da Laurence Olivier, per le celebrazioni del quarto centenario dalla nascita di William Shakespeare.

Era la prima volta che il teatro inglese ospitava una produzione in lingua italiana.

L’Amleto fisico e pop degli anni ‘90

Così Zeffirelli motiva la sua intenzione di riportare il testo a un pubblico popolare come quello che affollava i teatri elisabettiani:

“Questa tragedia è stata spesso presentata come la summa dell’esistenzialismo, gravandola di ogni genere di complicazioni filosofiche. Io volevo ritornare alle fonti originali: gelosia e vendetta. Shakespeare aveva scritto […] una saga familiare raccontata come una grande storia epica, piena di fatti e di azione. Ecco cosa, in origine, aveva inchiodato il pubblico del Globe Theatre a seguire Amleto per cinque ore.”

Per questa operazione c’era quindi “bisogno di un’icona nuova e sorprendente per il giovane pubblico”. Zeffirelli sceglie Mel Gibson noto al grande pubblico soprattutto per i suoi film d’azione (Mad Max e Arma letale).

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A spingere in tale direzione, una certa finalità divulgativa: “Vedevo Amleto non come un principe introverso, ma piuttosto come un giovane ambizioso, […] allevato per essere un aristocratico “superuomo”, il migliore in tutte le discipline. […] Gibson era perfetto per la parte, nel modo in cui io intendevo riportare in vita il personaggio. Per di più, quella di poter disporre dell’eroe dei film d’azione di Hollywood come protagonista del più classico dei classici fu davvero un’idea vincente.”

Un Amleto guerriero quindi, ‘fisico’, decisamente ‘pop’; come appare evidente fin dalla locandina del film in cui il protagonista tiene tra le mani una pesante spada.

Richard Gere, l’Amleto mai nato del 1979

Nel mezzo, nel 1979, si colloca un ulteriore progetto per un Amleto teatrale mai realizzato che si pone come ideale trait-d’union tra i due precedenti.

Lo spettacolo avrebbe dovuto avere per protagonista una nascente star di Hollywood. Richard Gere.

Gere era da poco divenuto celebre al pubblico cinematografico per I giorni del cielo di Terence Malik, ed era reduce dalle riprese di Yankees di John Schlesinger e di American gigolo di Paul Schrader, non ancora usciti nelle sale, che di lì a poco avrebbero decretato la sua consacrazione come sex symbol.

L’idea di Zeffirelli era di dedicare questa nuova produzione “ai giovani, soprattutto per i giovani delle università americane, ma per tutti i giovani del mondo”; dal momento che: “Amleto ha una straordinaria forza anticipatrice e moderna che si rinnova in tutte le generazioni. I giovani americani non hanno visto molto Shakespeare in teatro, e perciò ho pensato che fosse giusto riproporre la sua maggiore tragedia, che è la storia di un giovane come se fosse oggi […].”

 

Tre grandi protagonisti per tre versioni completamente diverse dell’opera Shakespeariana che confermano però un’unica lettura del personaggio di Amleto: Amleto è un “nostro contemporaneo”, prende la forma dell’epoca che attraversa, le sembianze mutevoli del tempo.

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